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“Ho vissuto la resistenza palestinese”, le memorie di un nazional-rivoluzionario caduto tra i fedayin

Il primo europeo caduto in combattimento per la causa palestinese non è stato un attivista comunista o uno dei tanti agit-prop del sessantotto rosso, ma un militante nazionalrivoluzionario. Si tratta di Roger Coudroy, un ingegnere belga di trentatré anni che – mentre va in scena il maggio parigino e si invoca “la fantasia al potere” – sceglie di mollare la carriera, gli amici e la famiglia per partire volontario alla volta della Palestina. Dopo poche settimane di permanenza in terra santa, senza esitazioni, dichiara: “I fedayin sono l’avanguardia del popolo palestinese. Io non sono un esperto militare, ma posso affermare che la lotta armata è l’unica via che conduce alla liberazione della Palestina”. Morirà, armi in pugno, durante un’operazione di guerriglia condotta contro l’esercito israeliano.

Il fatto rappresenterebbe una notizia, non solo perché si tratta del primo cittadino europeo caduto in Palestina, ma soprattutto perché Roger Coudroy è un militante di Jeune Europe, il movimento di Jean Thiriart che si definisce “nazional-comunitarista” e si batte per un’Europa sovrana e svincolata dai diktat di Yalta e dalle ingerenze sovietiche e americane. Dopo mezzo secolo di silenzio, interrotto soltanto da qualche sporadica pubblicazione da parte di testate vicine al mondo della “destra”, la storia di Roger Coudroy torna alla ribalta grazie alla pubblicazione delle sue memorie, edite da “Passaggio al Bosco”.

“Ho vissuto la resistenza palestinese” sarà nelle librerie e presenterà al pubblico italiano – attraverso le parole del protagonista – le vicende dell’impegno culturale e militare del primo martire europeo in terra santa.

Ma il libro, arricchito dagli interventi di Claudio Mutti e Andrea Niccolò Strummiello, è anche una interessante panoramica storica, volta ad approfondire la nascita delle prime forme di resistenza: parliamo, infatti, di uno dei primi documenti scritti che danno voce ai guerriglieri in clandestinità, ascoltandone le ragioni ed analizzandone i metodi di combattimento. Non solo: è una delle prime testimonianze di un occidentale nei campi profughi allestiti in Giordania e in Siria, dove migliaia di palestinesi in fuga dai carri cingolati israeliani trovavano riparo e organizzavano la propria resistenza in esilio.

Quella che si delinea – pagina dopo pagina – è un’altra Palestina, appena uscita dalla “guerra dei sei giorni”, impegnata a ricercare l’unità dei popoli arabi, ancora immune alle tentazioni del fondamentalismo islamico: è lo spaccato quotidiano di un popolo fiero, profondamente legato alla propria terra, affatto rassegnato a subire passivamente l’occupazione sionista.

Un libro coraggioso, che riapre il dibattito sul conflitto israelo-palestinese, scomparso dalle prime pagine ma ancora lontano dall’essere risolto.

 

QUI l’articolo originale.

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Guido

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