FILOSOFIA DELLA RIVOLUZIONE
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978-88-85574-72-4
Collana:
Descrizione del libro
Prefazione di Enrico Galoppini
Saggio conclusivo a cura di Claudio Mutti
Militare e rivoluzionario di primo piano, capofila del panarabismo, leader “non allineato” ai diktat occidentali, nemico giurato del sionismo e strenuo difensore dell’auto determinazione delle sue genti, Gamal Abd Al-Nasser è stato considerato “il primo egiziano a governare l’Egitto dopo duemila anni”, emancipandolo dal giogo straniero e creando i presupposti per un “socialismo arabo”. La sua figura – che la vulgata mainstream liquida come quella di un “tiranno” – ha indubbiamente scritto la storia del Vicino Oriente ed è rimasta indelebile nell’immaginario culturale e politico dei suoi popoli.
Nasser – infatti – ha attinto alla tradizione spirituale islamica senza scadere nel fondamentalismo, ha coltivato il laicismo senza cedere al collettivismo ateista di stampo sovietico, ha custodito le radici senza abdicare al progresso, ha difeso la sovranità senza negarsi al dialogo, ha unito pensiero e azione in una dottrina che ha saputo farsi – al tempo stesso – filosofia e prassi politica.
Questo testo – che compie, attraverso le sue memorie, una ricognizione nel cuore del Novecento – ci restituisce un’interessante fotografia delle sue idee e del suo percorso. Anzitutto, riporta alla luce la suggestione di una Rivoluzione che ha saputo realizzarsi nell’ordine di una visione del mondo organica e solidaristica, tenacemente fondata sul radicamento identitario, sul patriottismo eroico, sulla comunità di popolo, sulla nobiltà del lavoro, sulla giustizia sociale, sulla volontà di attuare una politica estera autonoma, sull’indipendenza di un’economica nazionale sovrana e – come emerge da queste pagine – su una più alta concezione dell’Uomo e della libertà.
L'autore
Gamal Abd el-Nasser (1918-1970) fu un leader militare e politico egiziano, fondamentale nella storia del Medio Oriente. Guidò il colpo di stato del 1952 che depose re Farouk e divenne presidente nel 1956. Nasser è noto per la nazionalizzazione del Canale di Suez e per le sue riforme sociali ed economiche, nonché per il suo ruolo nel movimento panarabo. La sconfitta nella guerra dei Sei Giorni del 1967 segnò un punto critico del suo mandato. Morì nel 1970, lasciando un’eredità come simbolo del nazionalismo arabo e della lotta contro l’imperialismo.
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